torna alla home page di Alvec

Torna alla home page... Data Odierna: 19 Aprile 2024   
“LA CORRENTE CRISI ECONOMICA INTERNAZIONALE: IL CASO POLACCO”

Andrea Bocconcello
Laurea Magistrale in Economia delle Imprese e dei Mercati Internazionali
conseguita il 08/04/2015

___________________________________________________________________________________________

Crisi economica? No grazie. Ecco ciò che ci insegna la Polonia. Questo Paese dell’Est Europa, per tanti anni in passato turbato da guerre devastanti e dittature, ha dimostrato che anche in tempo di recessione è possibile crescere economicamente: una lezione non da poco per tutto il Vecchio Continente, specialmente per i Paesi aderenti all’Unione Europea e all’Eurozona.
Il primato della Polonia, infatti, è proprio questo: il Paese in questione è l’unico in Europa ad aver evitato la recessione economica dal 2007 ad oggi. Un risultato ragguardevole, in particolare se confrontato ad altri Paesi più industrializzati così come se paragonato ad altre realtà economiche emergenti.
Calandoci in profondità nell’argomento ciò che emerge è esattamente questo: crescere è possibile anche in un contesto globale di recessione, purché alla base ci siano gli ingredienti giusti; un clima politico caratterizzato da stabilità, un ambiente “economico-giuridico” favorevole agli investimenti esteri, la presenza di un importante mercato interno, il rilevante finanziamento economico stanziato dall’Unione Europea, la possibilità di agire sul mercato dei cambi, gli investimenti pubblici fatti dal governo centrale. Si tratta di un mix importante, positivo, che per certi versi va controcorrente rispetto a quanto predicato per anni dalle dirigenze Europee di Francoforte e Bruxelles.
Nello specifico si intende sottolineare che la Polonia, primo Paese del famigerato “Blocco Sovietico” a uscire dal regime comunista nel 1989 e a transitare verso una nuova democrazia e l’economia di mercato, iniziò proprio in quel periodo importanti riforme economiche e cambiamenti. I primi anni post-comunismo, nonostante siano stati caratterizzati da una inflazione galoppante, crisi economica e recessione, hanno dato una forte “scossa” alla nazione. Malgrado lo “shock” causato dalla transizione da una economia pianificata verso un’economia di mercato, il Paese è comunque riuscito a risollevarsi, tanto da entrare a far parte dell’Unione Europea nel 2004, nell’ambito di quello che, ad oggi, è stato il maggiore allargamento dell’Unione con l’inclusione infatti (a partire dal 1° maggio 2004) di ben dieci Paesi del Vecchio Continente.
Altro elemento fondamentale è stata l’introduzione in Polonia, a partire dal 1994, delle ZES, ossia delle cosiddette Zone Economiche Speciali: trattasi di particolari zone del territorio nazionale dove è data la possibilità di intraprendere nuove attività economiche a particolari e favorevoli condizioni quali, ad esempio, agevolazioni fiscali, riduzione della tassazione sugli immobili, aiuti dati allo scopo di creare nuovi posti di lavoro e sviluppare le zone locali, dando così nuova linfa a territori in precedenza disagiati e favorendo gli investimenti internazionali. Attualmente, in Polonia, esistono 14 Zone Economiche Speciali sparse su tutto il territorio nazionale.
Ma c’è di più. La Polonia, dal giorno del suo ingresso nell’Unione Europea, ha notevolmente incrementato le proprie relazioni economiche con gli altri Paesi dell’Unione ed è entrata a far parte dei progetti europei di finanziamento ed aiuto degli Stati nell’ambito della Politica Comunitaria di Coesione. In particolare è doveroso sottolineare che la Polonia, nel periodo 2007-2013, è stato il Paese dell’U.E. che ha ricevuto il più alto finanziamento economico con un aiuto pari a 67.3 miliardi di euro.
E come ben sappiamo, proprio nel corso di questi sei anni a livello mondiale è accaduto l’imponderabile, una “doccia fredda” non prevista: la crisi economica globale. Quella che a monte partì negli Stati Uniti, a cavallo degli anni 2007 – 2008, come la cosiddetta “crisi dei mutui subprime”, fu il risultato in realtà di una serie di fattori che, messi insieme nel corso del tempo, hanno creato una “miscela esplosiva”, al punto che gli effetti di tale crisi andarono a colpire a catena il sistema economico e finanziario statunitense prima, e l’economia reale globale, poi. Ma la domanda è: perché parlare di questo? Cosa c’entra la crisi finanziaria americana con il nostro oggetto di studio, la Polonia?
La realtà è che la crisi economica americana portò ben presto i suoi effetti a livello globale, in quanto gli Stati Uniti sono un attore molto importante nell’economia mondiale: il dollaro ha ancora un ruolo chiave nel sistema monetario internazionale caratterizzato da asimmetricità e questo, combinato con i crescenti squilibri nella bilancia dei pagamenti americana a partire dai primi anni 2000 (con un deficit sempre più grande nelle partite correnti ed un alto surplus nel conto finanziario), ha fatto sì che tali incongruenze economiche favorissero la diffusione degli effetti della crisi a livello mondiale.
Il risultato è stato un crollo del PIL globale e la recessione di molti Paesi economicamente avanzati. Il 2009 è stato “l’Annus horribilis”, nel corso del quale soltanto un Paese in Europa ha registrato un risultato positivo, che per così dire è rimasto “a galla”: si tratta proprio della Polonia, la quale ha registrato un incremento del PIL del 1,628 %. Forse un dato che di per sé può sembrare poco, ma che se viene confrontato con le altre maggiori economie europee e nordamericane assume una nuova prospettiva, una luce diversa che brilla rispetto alle notevoli ombre degli Stati avanzati che la circondano.
Il Paese in questione, infatti, presenta un sistema bancario stabile (positivo è stato il risultato emerso agli stress test BCE del 2014) che con lo scoppio della crisi è rimasto al riparo dalle “tempeste finanziarie” estere e, altro elemento rilevante, è il fatto che la Polonia ha un debito pubblico che non può costituzionalmente superare il 60% del valore del Prodotto Interno Lordo.
Ma quello che risulta ancora più interessante riguarda il ruolo svolto dal Governo centrale di Varsavia. Già perché il governo polacco, proprio a partire dall’anno 2007, ha incrementato in maniera sensibile la propria spesa pubblica anziché diminuirla! E questo trend è proseguito fino all’anno 2010, quando la crisi era già in pieno corso. La figura sottostante mette a confronto la spesa pubblica in percentuale del PIL (barre arancioni) con il tasso di crescita annuo del PIL (linea blu) registrato dalla Polonia nel periodo 2007 – 2013.














Fonte: IMF - World Economic Outlook Database, October 2014

Come è possibile notare sopra, questa crescita della spesa pubblica, cominciata proprio all’inizio della crisi economica, è un fattore che va in controtendenza rispetto alle misure adottate da altri Paesi economicamente avanzati. La successiva riduzione della spesa pubblica polacca dal 2010 in poi è stato il risultato, invece, dell’avvio da parte del Consiglio dell’Unione Europea della Procedura di Infrazione per eccessivo deficit.
Detto questo credo che, andando al di là dei meri dati numerici, la lezione più grande data da questo Paese al resto del mondo consiste nel fatto che alla corrente crisi economica globale si può fare fronte e si può sopravvivere. Serve tuttavia quel giusto mix di fattori in grado di dare all’economia la spinta necessaria per non fermarsi. E serve il settore pubblico, serve quella parte del sistema economico che mai come in certi momenti storici, come quello in cui si sta vivendo oggi - economicamente (e non solo) difficile – dia il supporto necessario e fondamentale al mercato e al settore privato per poter ripartire. Il settore pubblico infatti resta un punto nevralgico del sistema economico, un attore di estrema importanza in grado di sostenere il mercato e la domanda anche nei momenti più impegnativi.
D’altronde, come scrisse John Maynard Keynes nel 1936 durante gli anni della Grande Depressione: “Il rimedio giusto per il ciclo economico non deve trovarsi nell'abolire le espansioni (boom) mantenendoci così permanentemente in una semi-depressione, ma nell'abolire le depressioni e mantenerci così permanentemente in una quasi-espansione (quasi – boom).”




Andrea Bocconcello