torna alla home page di Alvec

Torna alla home page... Data Odierna: 29 Marzo 2024   
“L’INNOVAZIONE SOCIO-FRUGALE NEL CONTESTO INDIANO: L’HONEY BEE NETWORK”

Gianfranco Bonomini
Laurea Triennale in Economia e Commercio
conseguita l'11 settembre 2015

___________________________________________________________________________________________

In questi periodi di crisi economica globale spesso ci si è imbattuti nella distinzione tra PIGS (intesi come i paesi economicamente a maggior rischio “default”, vale a dire Portogallo, Italia e Irlanda, Grecia e Spagna) e BRICS, indicando questi ultimi ( Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) come i veri “locomotori” dell’economia mondiale, puntualizzando però anche le notevoli disuguaglianze interne che questa crescita dirompente ha portato (si pensi alla Cina come esempio principale). A tal proposito ho voluto proprio analizzare un’associazione nata diversi anni fa in India, strutturatasi fortemente nel tempo, che intende raggiungere una crescita più “razionale”, redistribuendo equamente la ricchezza prodotta senza generare accumulazioni in pochi soggetti e aiutando gli individui al margine della società (analfabeti, individui creativi ma senza risorse finanziarie per sviluppare le loro idee, donne e bambini) a sviluppare le loro idee. Il network che descrivo in questo articolo ha creato un nuovo modello innovativo, che ha portato molti risultati in India e che si appresta ad essere esportato anche in Occidente.
L’Honey Bee Network (letteralmente, il network dell’ape da miele, o mellifera) nasce da un’intuizione del prof. Anil Gupta nel 1989 proprio in questo contesto. Gli ideali di fondo che hanno animato questa associazione sono tre. In primo luogo, il sostegno ai piccoli innovatori al margine della società già precedentemente descritti. Dati i fallimenti del sistema del credito indiano (che fornisce liquidità solo a soggetti “solidi”, riducendo al minimo il rischio di insolvenza), si evidenziava la necessità di creare infatti un sostegno anche a tutti coloro che erano ricchi di inventiva e creatività, ma poveri economicamente e non ricchi a sufficienza per sviluppare la loro idea e lanciarla sul mercato. Inoltre, anche la creazione di un sistema di conoscenze “equo e sostenibile” è risultato un altro ideale fondamentale. Basandosi soprattutto sulle esperienze passate, il prof. Gupta ha notato la ritrosia di questi piccoli innovatori a condividere il proprio sapere, per timore di essere “derubati” dell’unica fonte (potenziale) di ricchezza in loro possesso. Agendo sulla difesa dei diritti di proprietà intellettuali, l’associazione è riuscita negli anni a raccogliere migliaia di piccole innovazioni in un database, rendendole di fatto quindi fruibili dalla maggior parte della popolazione indiana, con notevoli ripercussioni sul benessere sociale. A questo proposito occorre però anche specificare il terzo ideale dell’associazione, vale a dire la redistribuzione equa e proporzionale di eventuali eccedenze generate da questo processo. La condivisione del sapere non deve andare contro alle logiche di profitto che questi piccoli innovatori meritano, permettendo loro di poter trarre beneficio economico dalla loro inventiva.

Si potrebbe riassumere il funzionamento del suddetto network in questa immagine















Tutta la popolazione indiana è indicata dal cerchio arancione. All’interno di essa, esistono molti individui creativi che, non avendo studiato e non essendo ricchi, non sono in grado di sviluppare le loro idee innovative, rimanendo al margine del processo di crescita. Grazie al network, questi innovatori possono vendere la loro idea a soggetti esterni, traendo beneficio economico immediato grazie alla difesa dei diritti di proprietà intellettuali messa in atto dall’Honey Bee Network, oppure diventare essi stessi imprenditori, grazie all’aiuto finanziario, commerciale e tecnico per sviluppare un’innovazione di successo.
L’Honey Bee Network si proponeva dunque fin dalla sua fondazione degli obiettivi molto ambiziosi, facendo leva sulla valorizzazione di questi piccoli soggetti poco istruiti ricchi di sapere tradizionale e “non scolastico” senza però generare i classici fallimenti di mercato per la mancata redistribuzione del sapere a causa di stringenti brevetti.
Visti i risultati raggiunti e la diffusione del fenomeno, non è errato dire che gli obiettivi dell’Honey Bee Network siano stati raggiunti, nonostante la strada da fare sia ancora molta. In questi anni hanno infatti visto la luce il NIF ed il SRISTI, associazioni in partnership con il network sopra citato che si occupano prevalentemente di sostegno (tecnico e finanziario) ai piccoli innovatori al margine. Sono nati numerosi premi e riconoscimenti per l’innovazione appositamente riservati a contadini, giovani, donne e bambini. Il territorio indiano si è riempito di micro-incubatori funzionali alle finalità dell’Honey Bee Network.
Ma l’importanza dell’Honey Bee Network non è individuabile solo per il contesto indiano. Questo metodo di innovazione potrebbe potenzialmente essere esportabile in tutto il mondo, mentre il suo approccio nuovo ed alternativo permetterebbe di risolvere numerose imperfezioni nel sistema redistributivo, generando un modello di crescita più equo e solidale. Citando Albert Einstein, si potrebbe dire che un errore non viene risolto dalla mente che lo ha generato. Appunto per questo, l’approccio innovativo indiano potrebbe essere riutilizzato anche in Occidente per risolvere alcuni problemi tipici del sistema economico, dalla mancata redistribuzione di tutto il sapere generato a causa di stringenti brevetti e di prezzi di vendita elevatissimi allo spreco generato dal mancato riciclo, fino ad arrivare alla valorizzazione dei soggetti al margine della società.
Il sistema di innovazione indiano rappresentato dall’Honey Bee Network è infatti incentrato su 3 pilastri. In primo luogo, l’innovazione sociale. Si è già descritto in precedenza come uno degli ideali di fondo del network sia proprio quello di generare un benessere collettivo dovuto alla redistribuzione del sapere, senza danneggiare gli innovatori che accettano di condividerlo. In secondo luogo, l’innovazione frugale in quanto le innovazioni provenienti da questi piccoli individui al margine non utilizzano materiali sofisticati ed esageratamente costosi, bensì oggetti quotidiani ed economici. I piccoli contadini delle regioni più isolate non possono infatti permettersi spese folli per risolvere i problemi che insorgono quotidianamente nel lavoro, ma devono ingegnarsi per riutilizzare oggetti e prodotti che già possiedono che diventino quindi funzionali per i loro scopi. Questo quindi crea delle innovazioni a basso costo, data la semplicità dei materiali utilizzati senza che si perda in efficacia, aumentando la platea di potenziali consumatori con un relativo aumento del benessere. Tale approccio denominato “jugaad”, incentrato proprio sulla visione degli ostacoli quotidiani nel lavoro non come limiti ma come concrete opportunità di crescita e di sviluppo di soluzioni innovative, si sta diffondendo in misura massiccia in molto top managers americani ed europei, con notevoli risultati. A ciò si aggiunga anche il terzo pilastro innovativo del modello indiano, vale a dire la circolarità dell’economia che riduce al massimo gli sprechi riciclando i materiali utilizzati.
Il modello di innovazione indiano appena descritto è identificato come la risultante di diverse tendenze innovative minori, ma peculiari nella loro somma. Riassumendo, esso rappresenta non solo un metodo innovativo con un maggior impatto sociale, ma anche un metodo di crescita economica che mitiga gli effetti negativi di una mancata redistribuzione. In paesi come la Cina ed il Brasile, in cui appunto i tassi di crescita sono vertiginosamente alti, è facile che la maggior parte della popolazione non noti vantaggi rilevanti in quanto la ricchezza è accentrata nelle mani di pochi soggetti. L’India propone una soluzione diversa: crescita costante (rimane un BRICS), ma più “ragionata”. Per questo, non è giusto considerare essa come un nemico o una minaccia, bensì come un’opportunità ed una sfida. Il modello è esportabile, nonostante sia anche fortemente incentrato sui bisogni della popolazione locale e quindi necessiti di adattamenti, ma potrebbe essere la risposta ad alcuni problemi che l’economia mondiale sta riscontrando negli ultimi anni.




Gianfranco Bonomini