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Torna alla home page... Data Odierna: 29 Marzo 2024   
LE NUOVE FRONTIERE DEL CORPORATE REPORTING. ANALISI EMPIRICA SULLA QUALITÀ DELL'INTEGRATED REPORTING IN ITALIA

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Chiara Sola
Laurea Magistrale in Direzione Aziendale
Votazione: 110/110 e lode
Relatore: Prof.ssa Silvia Cantele
Data di laurea: 11/09/2019
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Immaginate un albero maestoso, con un tronco molto grande e una chioma folta: un’azienda e le sue risorse sono ragionevolmente paragonabili ad una pianta di questo tipo. Le parti visibili dell’albero (il tronco, i rami, le foglie, ecc.) sono assimilabili agli asset visibili dell'azienda (impianti, macchinari, crediti, titoli finanziari...). Un albero, però, non può vivere senza le radici: esse, pur se nascoste, garantiscono la salute e la rigogliosità della pianta. In maniera del tutto analoga, in azienda ci sono delle risorse che, pur se non visibili, sono fondamentali: tali asset vengono definiti intangibles, proprio perché sono immateriali, intangibili. È possibile identificare gli intangibles nelle conoscenze dell'azienda e dei suoi dipendenti, nonché nella motivazione degli stessi; nel marchio, nell'immagine e nella reputazione; nella soddisfazione della clientela, nel livello di fiducia e nella qualità delle relazioni con l'esterno; nella qualità dei processi, nella propensione all'innovazione e nella proprietà intellettuale.

Sono quindi molte le risorse, i capitali, che concorrono alla creazione di valore in azienda: il capitale finanziario, quello produttivo, ma non di secondaria importanza sono il capitale intellettuale, il capitale relazionale, il capitale naturale e il capitale umano; è solo considerandoli tutti che è possibile avere un'immagine completa dell'azienda.
È importante precisare che la creazione di valore è una priorità per qualsivoglia tipologia di azienda, la cui attività deve essere ispirata al principio di economicità, rispettando il quale essa potrà perdurare nel tempo. Ed è proprio in quest'ottica di lungo periodo che si può trovare un'armonia tra la dimensione finanziaria e quella non finanziaria.
La capacità dell'azienda di generare utili dipende certamente dalla gestione delle risorse finanziarie, ma altrettanto importanti a tale fine sono anche le risorse non finanziarie. Giusto per fare un esempio, si può pensare alla reputazione: essa è innegabilmente una risorsa per l'azienda, tanto fondamentale quanto difficile da costruire, in quanto è solo
agendo in maniera corretta nel tempo che l’azienda riuscirà a costruirsela, potendo così operare sul mercato. È quindi possibile affermare che la capacità dell'azienda di generare utili non è necessariamente compromessa dalla sua attenzione verso società e ambiente. Se è vero che esiste un dovere di natura etica e morale ad agire responsabilmente, è altrettanto vero che operare come un buon cittadino è strategico per l'azienda.

A livello di reporting, un modello di rendicontazione aziendale che traduce operativamente l'idea di integrazione tra la dimensione finanziaria e quella non finanziaria è l'Integrated Reporting (IR), proposto dall'International Integrated Reporting Council (IIRC).
Tale standard di rendicontazione consente di adottare una visione olistica dell'azienda, andando a rappresentare le sinergie che si creano al suo interno.
“One company, one report”: è questa la logica che sta dietro l'integrated reporting, che prevede di realizzare un unico bilancio mediante il quale comunicare a tutti gli stakeholder informazioni relative alle performance finanziarie, sociali, di governance e ambientali.
Il principale obiettivo di un integrated report consiste nel mostrare in che modo l'azienda sarà in grado di generare valore in futuro; per riuscire in tale intento, è necessario che venga messo in luce il legame esistente tra la strategia aziendale e le performance finanziarie, nonché il contesto sociale e ambientale nel quale l'organizzazione si trova ad operare.
Tutto questo in linea di principio...ma, in realtà, le aziende producono veramente dei report integrati in linea con i principi contenuti nell'IR Framework?
La pubblicazione di report integrati è in aumento in tutta Europa. Tuttavia, l'aumento del numero di integrated report pubblicati nulla dice relativamente al livello qualitativo degli stessi.

In letteratura si trovano diversi studi dai quali emerge che la qualità della disclosure non finanziaria è spesso inadeguata. La sensazione è che manchi la consapevolezza delle conseguenze positive che si producono anche sul piano economico-finanziario quando viene realizzata una rendicontazione non finanziaria all'altezza delle aspettative degli stakeholder.
Una rendicontazione non finanziaria autentica e di qualità segnala non solo una reale attenzione dell'azienda verso gli aspetti non prettamente finanziari della gestione, ma è anche indice di affidabilità della rendicontazione in generale, che sarà con maggiore probabilità descrittiva della situazione reale. È stato infatti osservato che chi è socialmente responsabile sarà meno propenso a realizzare bilanci finanziari mendaci, ricorrendo con minore probabilità a pratiche di earnings management.
Altri effetti positivi che sono stati osservati sono la maggiore analyst coverage (numero di analisti finanziari che seguono e studiano l'azienda e le sue attività), la maggiore institutional ownership (in quanto gli investitori istituzionali sono maggiormente disposti ad investire in quelle aziende il cui reporting è più affidabile e, quindi, in grado di ridurre l'asimmetria informativa), e la maggiore liquidabilità delle azioni (in quanto la maggiore trasparenza favorisce la riduzione della selezione avversa).
Con riferimento alla qualità dell'integrated reporting, in diverse indagini è emersa una correlazione positiva tra l'aderenza ai principi dell'integrated reporting e valore di mercato delle azioni; inoltre è stata osservata una maggiore stabilità nella base di investitori, una maggiore liquidabilità delle azioni, e una crescita nel valore dell'impresa.
Dopo aver passato in rassegna la letteratura esistente in tema di qualità della rendicontazione non finanziaria e dell'integrated reporting, nell’elaborato è stata realizzata un'analisi empirica, con l'obiettivo di provare a capire quale sia il livello qualitativo degli integrated report, in particolare facendo un focus su quelli pubblicati da aziende aventi la loro sede legale in Italia.

Il modello che è stato utilizzato per effettuare l’analisi è l'Integrated Reporting Scoreboard (IRS), elaborato da un team di tre ricercatori italiani (Anna Pistoni, Lucrezia Songini e Francesco Bavagnoli). Tale modello è stato presentato in un articolo pubblicato nel 2018 all'interno della rivista “Corporate Social Responsibility and Environmental Management”.
Il modello si articola in quattro aree di valutazione; per ciascuna categoria è stato definito un sistema di valutazione che prevede l'assegnazione di un punteggio in base al livello di conformità del report a determinati criteri.

Chiaramente l'attribuzione di un punteggio è esclusivamente uno strumento che agevola la valutazione nel senso di renderla (se possibile) più oggettiva. L'analisi del livello qualitativo di un report, infatti, implica necessariamente delle valutazioni soggettive che, in quanto tali, possono essere anche distorte. La scelta di utilizzare questo modello di scoring deriva proprio dalla volontà di essere guidati nella valutazione da criteri chiaramente definiti e spiegati.
Il campione analizzato è composto da venti aziende italiane i cui report integrati sono disponibili all'interno dell' Examples Database. L'idea di considerare i report pubblicati da aziende aventi sede in Italia ai quali viene fatto riferimento nell' Examples Database nasce dalla mancanza in letteratura di un'analisi che consideri tale campione. Gli articoli pubblicati fanno spesso riferimento a singoli casi, oppure prendono in considerazione piccoli gruppi di aziende. Non esistono però degli studi che abbiano cercato di testare la qualità degli integrated report pubblicati da un campione abbastanza vasto di aziende italiane.

Il campione è abbastanza eterogeneo. In prevalenza le aziende i cui report sono stati analizzati sono di grandi dimensioni (il 65% ha più di 1000 dipendenti; quasi il 50% ha un fatturato che supera i 5 miliardi di Euro; il 60% è quotata). Sono presenti sia aziende aventi una lunga esperienza con l'integrated reporting, così come neofiti. La maggior parte (65%) ha la propria sede legale nel nord Italia; le rimanenti aziende hanno sede in Toscana, Lazio e Puglia. L'eterogeneità del campione si osserva anche nei settori in cui le aziende operano: dall'energetico al bancario, dalla GDO all'industria alimentare...

I risultati sono in linea con quanto emerso nella letteratura esistente in tema di qualità della rendicontazione non finanziaria: se la consapevolezza dell'importanza di fornire informazioni di carattere non finanziario porta molte aziende a pubblicare report di questo tipo, spesso ci si imbatte in documenti poco informativi.
Chiaramente non si può generalizzare troppo: ci sono anche aziende che pubblicano dei report integrati che rispettano i principi e i requisiti espressi nel Framework dell'IIRC, ma queste realtà sono una minoranza. Ciò che si osserva, infatti, è un'elevata dispersione dei punteggi. La frequenza delle valutazioni è approssimabile con una gaussiana: sono infatti pochi i report che presentano livelli qualitativi decisamente bassi, ma non sono molti quelli all'altezza delle aspettative degli stakeholder.
Un'altra osservazione riguarda la modalità di trattazione delle tematiche rilevanti all'interno dei report: molto spesso ci si imbatte in documenti nei quali ci si dilunga molto nella descrizione degli aspetti più positivi e favorevoli, riducendo al minimo se non addirittura evitando la trattazione di temi più critici.
Si ha la percezione che le aziende tendano a confondere i concetti di qualità e di quantità: in molti casi i report sono eccessivamente narrativi e prolissi. Tale incapacità di sintesi li rende poco informativi.

Le criticità maggiori sono state riscontrate con riferimento alla descrizione delle strategie e delle prospettive future: la trattazione è spesso inadeguata, se non totalmente assente.

In molti report vengono esclusivamente indicati in maniera molto generica gli obiettivi strategici, senza tuttavia indicare come si intende perseguirli.
A volte manca anche una valutazione quantitativa dei target: ci si limita solo a dichiarare a parole gli obiettivi che si vogliono raggiungere, senza dire nulla di più.
Un'altra criticità riguarda l'accessibilità dei documenti. Se in tutti i casi sono disponibili online, spesso sono presenti solo in formato pdf. In pochi casi sono state create delle piattaforme interattive, che permettono di accedere ai contenuti del report online.
Sovente mancano anche collegamenti ipertestuali all'interno del documento, che faciliterebbero la lettura.
In generale, si riscontra un'interpretazione spesso troppo soggettiva dei principi del Framework: se è vero che questo non impone una struttura rigida da seguire, è altrettanto vero che indica alcuni contenuti essenziali, che in molti casi mancano.

Può l’esperienza con l’integrated reporting favorire una maggiore qualità dello stesso? È questo l’interrogativo che è emerso al termine dell’analisi. Le aziende potrebbero infatti ottenere dei feedback dagli stakeholder e migliorarsi di anno in anno.
Mediante il software econometrico “Gretl” sono stati analizzati i dati ottenuti grazie all'analisi, calcolando la correlazione tra il numero di report pubblicati e lo scoring totale.
Ciò che è emerso è che, tendenzialmente, i punteggi più elevati sono stati attribuiti alle aziende con un’esperienza di più lunga data con l'integrated reporting. Tuttavia, il livello di correlazione tra le due variabili non è statisticamente significativo, pur se positivo. Al fine di verificare se questa tendenza sia vera, l'analisi andrebbe estesa ad un campione più ampio di aziende.




Chiara Sola