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Torna alla home page... Data Odierna: 19 Aprile 2024   
#PLASTICFREE O FORSE NO: LA STRADA VERSO LA SOSTENIBILITÀ DELL’INDUSTRIA DEL PACKAGING

L’aggravarsi della crisi climatica e la consapevolezza che le attività umane ne sono le principali responsabili hanno accresciuto negli ultimi anni la preoccupazione dei consumatori verso l’inquinamento. A torto o a ragione, la plastica è diventata il simbolo dei rifiuti generati e dispersi dall’uomo e la prima imputata dei danni provocati a molte specie animali e vegetali.

Una grossa parte della plastica prodotta avvolge gli articoli che acquistiamo quotidianamente. La maggioranza degli acquirenti concorda che spesso l’imballaggio è eccessivo e gran parte di loro ha difficoltà a riciclarlo. Nel 2019, secondo PwC e la rivista The Grocer, il 70% dei consumatori nel Regno Unito ha cambiato le proprie abitudini di acquisto per preoccupazioni ambientali; il 60% ha cercato prodotti meno confezionati e il 30% ha cambiato le proprie marche abituali. Oltre tre quarti dei cittadini europei intervistati sarebbero disposti a pagare di più per un prodotto con una confezione dal minore impatto.

Tutta questa attenzione è giustificata? Certamente sappiamo che la plastica può determinare alcuni pericoli per la salute umana. Inoltre, l'inquinamento e il riscaldamento globale sono problemi correlati. La decomposizione della plastica produce gas serra, mentre il fitoplancton negli oceani ingerisce quantità sempre maggiori di microplastiche, il che riduce la sua capacità di assorbire anidride carbonica.

Sulla spinta dell'opinione pubblica, i decisori politici italiani ed europei hanno introdotto nuove norme ambientali. La Direttiva (UE) 2015/720 ha introdotto misure simili a quelle italiane per limitare le borse di plastica al supermercato. La Direttiva (UE) 2018/852 ha stabilito obiettivi di riciclaggio più elevati su diversi materiali di imballaggio entro la fine del 2025 e del 2030. Nel 2019, la direttiva SUP (Single-Use Plastics) ha affrontato i dieci prodotti di plastica monouso più rinvenuti sulle spiagge europee. Per attuarla, la legge di bilancio 2020 ha varato una nuova “Plastic Tax” sul consumo di prodotti monouso, la cui introduzione è stata ripetutamente rinviata.

Tutte queste regole stanno influenzando in modo sostanziale il mercato e le strategie delle aziende. Ci sono opportunità crescenti per i produttori di imballaggi in carta e cartone, mentre i trasformatori di plastica stanno faticando a mantenere le loro quote di mercato in applicazioni specifiche.

Occorre però fare un passo indietro per comprendere l’importanza che i materiali plastici hanno rivestito nello sviluppo umano. Il primo polimero sintetico fu inventato nel 1856 dal chimico inglese Alexander Parkes: lo scopo principale era quello di creare un'alternativa economica e pratica a materie prime come l'avorio, ad esempio nella produzione delle palline da biliardo, gioco sempre più in voga all'epoca. Pertanto, la plastica ha rappresentato la via dell’uomo per sfuggire ai vincoli della natura. La storia di questo materiale è piuttosto articolata e coinvolge anche Giulio Natta, l'unico italiano a ricevere il Premio Nobel per la Chimica nel 1963 per la scoperta del polipropilene.

Tra il 1950 e il 2019, la produzione mondiale di plastica è aumentata vertiginosamente da 1,5 a 368 milioni di tonnellate. Ciò ha determinato un'enorme quantità di rifiuti non raccolti o mandati in discarica. Detto questo, dobbiamo considerare che in Europa e in Italia la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e il tasso di riciclaggio degli imballaggi sono entrambi in aumento. Il riciclaggio degli imballaggi in plastica è più impegnativo, ma con un 45,5% nel 2019 l'Italia era già vicina all'obiettivo dell'UE per il 2025.











Inoltre, il problema va messo in prospettiva all'impronta ambientale totale del settore alimentare, che assorbe oltre la metà degli imballaggi plastici. Immaginate di acquistare una bistecca o del pesce: non crederete che il problema per l'ambiente sia rappresentato dalla vaschetta di plastica e dalla pellicola che lo confezionano, vero? Nel 2018, l'industria alimentare ha prodotto 13,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, pari al 26% delle emissioni mondiali di gas serra. Le fonti sono molteplici, in particolare l'allevamento e la pesca (31%), le colture per l'alimentazione animale (6%) e l’uso del suolo per il bestiame (16%). Quindi, mentre una dieta ricca di derivati animali determina più della metà dell'impronta di carbonio del settore, il contributo del packaging è minimo, e pari al 5%.

L'industria della plastica è una delle più critiche per il valore aggiunto lordo e ha un significativo effetto moltiplicatore sul resto dell'economia. Non è il caso di penalizzare eccessivamente un settore, tanto più se manca una vera alternativa. In molte applicazioni la plastica è difficile da sostituire, per esempio quando l'imballaggio è a contatto con il cibo. Pensate alla negativa esperienza di consumo che si ha nel bere un tè o un caffè con cannucce e bicchieri di carta. Le proprietà barriera di pellicole e sacchetti di plastica sono fondamentali per mantenere freschi gli alimenti, riducendo gli sprechi e di conseguenza le emissioni. Le confezioni in plastica rendono più leggere le merci riducendo l’impatto del loro trasporto, senza contare che grazie alla ricerca sui materiali il peso di molti packaging, tra cui le bottiglie in PET, è in continua diminuzione.

Fatte queste premesse, possiamo dire che la situazione attuale è di certo migliorabile. In molti casi, carta e cartone sostituiscono efficacemente la plastica. Molti avranno notato che negli ultimi mesi, al supermercato, le lattine di Coca-Cola non vengono più vendute avvolte da un film plastico. Sono invece confezionate con il sistema KeelClip™ di Graphic Packaging, costituito da una fascia di cartone che si aggancia alle lattine nella parte superiore e da una fascia centrale con funzione stabilizzatrice. Cluster e cestini portabottiglie possono sostituire i tradizionali imballaggi secondari di lattine e bottiglie di piccolo formato (cioè anelli di plastica e pellicole termoretraibili). E in generale le confezioni in cartone hanno ampie possibilità di crescita nel campo dei packaging secondari e terziari. Molte aziende cartotecniche stanno ampliando la loro gamma di prodotti e aumentando il loro fatturato.











I produttori di imballaggi in plastica sono stati costretti a prendere delle contromisure. Le principali sono ridurre la materia prima utilizzata, recuperare e riciclare gli scarti di processo, impiegare plastica riciclata e bioplastiche, produrre usando energia rinnovabile. Crocco Spa, azienda vicentina leader nell'innovazione, è attiva su tutti questi fronti. Il produttore di imballaggi flessibili è uno dei principali fornitori di Coca-Cola in Italia e in altri paesi europei. Pertanto, è stato inevitabilmente colpito dalla svolta strategica del colosso delle bevande. Con il suo programma Greenside, Crocco mira però a creare imballaggi con zero emissioni equivalenti. Si parte col misurare la CO2 determinata dagli imballaggi attuali, per poi ridefinire il loro design e ottenere un impatto inferiore. L’ammontare residuo può essere compensato attraverso l’acquisto di crediti di carbonio. L’azienda produce anche un film che utilizza fino al 60% di materiale riciclato, e ha recentemente introdotto Leaf, la prima pellicola alimentare biodegradabile che può essere gettata nell’umido.

Insomma, la sostituzione della plastica non è sempre possibile né auspicabile. Ma mentre l’industria cartotecnica può approfittare di questa tendenza concentrandosi sulle applicazioni il cui mercato è in crescita (confezioni di cibi refrigerati e surgelati, cibo da asporto, bibite e birra, frutta e verdura) l’industria della plastica combatte una battaglia in salita. I consumatori non sanno confrontare diversi materiali e design di confezionamento e potrebbero essere confusi dalle strategie di marketing nelle decisioni di acquisto quotidiane. Occorre promuovere una concorrenza più equa. Un’idea potrebbe essere quella di fornire maggiori informazioni ai consumatori, promuovendo dichiarazioni volontarie nelle etichette per comunicare l'impronta di carbonio dei prodotti, calcolata attraverso l’analisi del ciclo di vita. Le cosiddette "carbon label" hanno ormai una storia ventennale. Non hanno ancora preso piede ampiamente, ma date le circostanze ciò potrebbe accadere in futuro. Esempi ne sono la Carbon Reduction Label diffusa nel Regno Unito dal 2007, o più recentemente il sistema Eco-Score introdotto in Francia nel 2021 (versione ambientalista del tanto discusso Nutri-Score). La sfida per questo genere di etichette è catturare la complessità dell'impatto ambientale di un prodotto in un'indicazione semplice e chiara. Presentare ai consumatori queste informazioni ha dimostrato di indirizzare efficacemente le loro decisioni di acquisto verso alternative meno impattanti. Così, anche i produttori sarebbero portati a scegliere più attentamente i packaging impiegati.











In ogni caso, la transizione verso un'economia circolare sembra essere la maniera migliore per ridurre l'impatto ambientale del settore degli imballaggi. La filiera del riciclo della plastica è relativamente giovane, le tecnologie di valorizzazione possono migliorare e investimenti in questo campo sono necessari. Ma gli sforzi della ricerca e dell'industria non possono sostituire l'impegno individuale. Un cambiamento di abitudini deve avvenire all'interno delle case, dove inizia il processo di raccolta differenziata: ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte.