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Torna alla home page... Data Odierna: 30 Ottobre 2024   
RINASCIMENTO 2.0 - UNA “NUOVA GENERAZIONE” EUROPEA

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Valeria Santaterra
Laurea Magistrale in International Economics and Business
Titolo della tesi: NEXT GENERATION EU: AN “ECONOMIC RENAISSANCE” FOR THE EUROPEAN UNION?
Comparative analysis of the National Recovery and Resilience Plans of Italy, Germany and France
Votazione: 110/110 e lode
Relatore: Prof. Riccardo Fiorentini
Data di laurea: 06/09/2022
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Marzo 2020. A leggere queste parole, il pensiero corre inevitabilmente a ricordare l’insorgere della pandemia e il primo lockdown.
Riescono a dire molto in poco spazio; quasi come fa una sigla.
E proprio a partire da quella primavera così particolare, nostro malgrado, tante sigle specifiche ci sono diventate sempre più familiari: Covid-19, FFP2, i famosi DPCM… ma poi anche NGEU ed infine, PNRR. Come si è arrivato a questi ultimi due acronimi?

Come ben sappiamo, la pandemia ha avuto un impatto significativo sull'economia europea, causando la sospensione degli scambi internazionali e la chiusura di molte attività commerciali. Per rispondere a questa crisi, l'Unione Europea (UE) ha deciso di creare il cosiddetto Fondo europeo per la ripresa, conosciuto anche con i nomi originali di Recovery Plan, Recovery Fund ma soprattutto come Next Generation EU (abbreviato in NGEU).
Si tratta di uno strumento innovativo, entrato in vigore nel 2021, che raccoglie un totale di 750 miliardi di euro in valori del 2018, corrispondenti a 806,9 miliardi di euro ai prezzi correnti. Questo enorme investimento è finalizzato a creare posti di lavoro, rafforzare la salute e la sicurezza pubblica, sostenere la transizione verso un'economia più sostenibile e migliorare la coesione economica e sociale all'interno dell'UE.
Già dal nome, letteralmente “UE di prossima generazione”, molto evocativo, si comprende come esso miri non solo ad aiutare i Paesi membri a risollevarsi dalla crisi, ma anche a prepararli meglio per il futuro.
NGEU affronta quindi le sfide innescate dalla crisi economica attraverso un programma ambizioso che quest’anno, nel 2023, raggiunge già metà della sua esistenza. Infatti, i fondi destinati ad ogni Paese europeo devono essere totalmente impegnati entro il 2026.
Già oggi è difficile immaginarsi come avrebbe avuto luogo la ripresa europea senza NGEU. Eppure, il procedimento che ha portato alla sua approvazione non è stato libero da ostacoli.

Al momento del bisogno, la divergenza di opinioni tra i governi europei è emersa chiaramente. Abituati a gestire le proprie finanze interne in modo autonomo, nella primavera del 2020 i Paesi membri si sono invece ritrovati, su proposta della Commissione Europea, seduti attorno ad un tavolo di trattative che solo l’anno successivo avrebbero portato frutto: la ratifica del Regolamento europeo sul Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
In questo Dispositivo sono ricomprese il 90% delle risorse di NGEU, per un valore totale di 723,8 miliardi di euro a prezzi correnti. 338 miliardi di euro vengono erogati sotto forma di sussidi, i restanti 385,8 miliardi di euro costituiscono invece prestiti dell'UE verso i Paesi membri. Le sovvenzioni saranno rimborsate dal bilancio dell'UE, mentre i prestiti saranno restituiti dagli Stati membri che li hanno contratti.

In particolare, il raggiungimento di un accordo è stato possibile grazie a:
- il sostegno della Germania verso uno strumento di debito comune, una mossa inaspettata se si considera la sua tradizionale posizione, più rigida, sulle questioni fiscali dell'Unione;
- il via libera dei Paesi frugali (principalmente i governi del nord Europa, Paesi Bassi in testa) per il ricorso ai sussidi all’interno del Dispositivo, a patto che venisse applicata una ferrea condizionalità sulla loro erogazione;
- il compromesso ottenuto circa il rispetto dello “stato di diritto”, la cui definizione è stata lasciata intenzionalmente ambigua in cambio del supporto di Ungheria e Polonia, un punto ancora oggi molto controverso.

Dopo multiple tornate negoziali, le varie situazioni di stallo sono state infine superate, anche grazie all’impegno di un’alleanza franco-tedesca rinnovata e influente.
Questo Dispositivo è di importanza cruciale, in quanto finanzia i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) di ogni Paese membro dell’UE. Questi Piani nazionali definiscono gli investimenti e le riforme da attuare entro la fine del 2026, insieme a una serie di obiettivi legati a tali investimenti.
Ogni Stato membro ha predisposto il proprio PNRR, elencando le spese che richiedono il finanziamento europeo. La Commissione Europea li ha quindi esaminati e infine approvati.
L’Italia risulta essere il Paese che di gran lunga riceve più fondi da NGEU, in quanto è stata colpita dalla pandemia di Covid-19 per prima in Europa e in modo più intenso. Nello specifico, assorbe più di un quarto delle risorse totali del Dispositivo per la ripresa e la resilienza: ciò equivale a quasi tre volte i fondi dei Piani tedesco e francese messi insieme.

Ma se la crisi all’origine è la stessa, quanto e perché sono diverse le soluzioni apportate? Per rispondere a questa domanda, è utile eseguire un confronto proprio tra questi tre Piani, i più rilevanti all’interno dell’UE per importanza strategica e politica, valutando le loro dimensioni e le scelte fatte in merito alle differenti voci di spesa possibili.
I tre Piani di ripresa europei, pur se piuttosto distinti tra loro, presentano temi comuni: ad esempio, il rinnovamento energetico degli edifici, le misure in politica fiscale, la digitalizzazione delle imprese, la coesione sociale, la promozione della mobilità verde.
Tuttavia, i governi hanno scelto priorità diverse, che riflettono in parte le diverse situazioni economiche precedenti allo scoppio della crisi. In primo luogo, ad esempio, Francia e Germania hanno introdotto più misure a breve termine che a lungo termine, mentre la distribuzione è opposta per l'Italia. Questa differenza potrebbe essere dovuta al desiderio (e alla necessità) dell'Italia di colmare i suoi divari di produttività con Germania e Francia.
In secondo luogo, Italia e Germania stanno investendo principalmente in misure per stimolare la domanda, con politiche a sostegno del potere d'acquisto delle famiglie e il rafforzamento degli investimenti pubblici in vari settori, come il rinnovamento termico degli edifici o delle ferrovie. La Francia, invece, si concentra sulle misure dal lato dell'offerta e sostiene la spesa per ricerca e sviluppo, oltre alla riduzione della tassazione sulle imprese.
Infine, in Francia, le misure a favore delle famiglie e delle imprese sono equilibrate, mentre in Italia e Germania si registra un leggero squilibrio a favore delle imprese.
Allargando l’inquadratura, si osserva come i piani italiano e francese siano molto più diversificati rispetto a quello tedesco. I primi due, infatti, includono “missioni” specifiche in settori come la salute, la ricerca, l'inclusione sociale e l'istruzione. Il piano tedesco, invece, comprende meno risorse per misure non legate al clima e al digitale, probabilmente perché la Germania riceve meno finanziamenti in rapporto agli altri due Paesi.
Complessivamente, comunque, si riscontra una maggiore somiglianza nella struttura e nei contenuti dei Piani tedesco e francese, mentre quello italiano è spesso il più “eccezionale” o con valori anomali più frequenti, per via delle enormi risorse vincolate.

Vale la pena sottolineare come, in alcuni settori, i PNRR manchino di progetti veramente trasformativi e di obiettivi concreti (ad esempio la nuova tassazione sulle emissioni di carbonio, che non tutti i PNRR hanno pianificato estesamente) che consentano una valutazione ex-post approfondita. In altri ambiti, i Piani presentano una limitata consapevolezza e descrizione degli impatti delle riforme. Da un lato, alcune misure non risultano sufficientemente ambiziose, d'altro lato ciò potrebbe renderle più fattibili.
L'analisi comparata dei tre Piani di rilancio europei rende ancora più evidenti le enormi aspettative che gravitano attorno al Piano italiano.
Assieme all’entità delle risorse assegnate, all'Italia è stata affidata una grande responsabilità da parte degli altri Stati membri dell'UE. Se il piano italiano avrà successo nel lungo periodo, ciò potrebbe rappresentare il “precedente” necessario per dirigere il cammino dell’integrazione europea verso una maggiore solidarietà e una futura condivisione del rischio fiscale.
Se invece dovesse ottenere risultati peggiori del previsto, il conservatorismo fiscale riacquisterà la sua influenza e il Fondo europeo di ripresa verrà ricordato solo come uno spreco di denaro.
NGEU apre dunque nuove sfide per l'Unione. Sebbene il Fondo sia stato concepito con una durata specifica e limitata al fine di essere approvato da tutti gli Stati membri, resta da vedere se un ritorno allo status quo ante sia fattibile (e auspicabile).
NGEU, infatti, è concepito come molto più di un normale pacchetto di stimoli finanziari.
Si adopera anche per il raggiungimento degli obiettivi climatici e digitali dell'UE. Il Regolamento europeo sul Dispositivo per la ripresa e la resilienza contiene l’obbligo di destinare almeno il 37% dell'assegnazione totale del Piano a misure a favore della transizione verde. Allo stesso tempo, il 20% della dotazione del Piano deve essere dedicato a misure che contribuiscano alla transizione digitale. Fortunatamente, tutti gli Stati membri hanno raggiunto e addirittura superato queste soglie.

In aggiunta, grande attenzione è posta sul futuro dei giovani, con varie misure a supporto delle nuove generazioni, per assicurare uno sviluppo più sostenibile e resiliente per l’UE.
Ma la caratteristica più innovativa del Fondo è il modo in cui si è pensato al suo finanziamento. Alla Commissione Europea è stata assegnata, per la prima volta, la facoltà di emettere debito comune per conto dell'UE sui mercati dei capitali; è prevista inoltre la futura introduzione di nuove tasse europee per rimborsare il debito e gli interessi.
È ormai chiaro come la crisi di Covid-19 abbia rappresentato una cartina di tornasole per la credibilità e la coesione dell'UE. Oggi, NGEU apre una finestra di opportunità per un'integrazione economica europea sulla via del federalismo.

In passato, la Comunità Europea (poi UE dal 1992) nacque da una crisi che attraversò tutto il nostro continente. Quella attuale non è quindi né la prima né l'ultima crisi che l'Europa ha affrontato e che dovrà affrontare; ma la risposta a questa crisi deve aprire la strada a cambiamenti decisivi nella struttura dell’UE. Solo così, l'Unione manterrà le sue capacità per superare le difficoltà in modo compatto e uscirne rafforzata.
Il risultato dell’analisi di NGEU e dei Piani di ripresa europei sopracitati suggerisce che tali strumenti hanno le carte in regola per dare inizio a una nuova era, un vero e proprio Rinascimento europeo, a condizione che vengano messi in atto correttamente e con attenzione da tutti gli attori coinvolti.


 Premiazione Valeria Santaterra